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Autonomina e indipendenza dell’OdV. Il caso della Banca Popolare di Vicenza.

inidoneità modello 231
231

Autonomina e indipendenza dell’OdV. Il caso della Banca Popolare di Vicenza.

1.    Introduzione

Nell’ambito del dibattito sviluppatosi in ambito di responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/2001 in ordine ai requisiti di autonomia e indipendenza dell’Organismo di Vigilanza, nonché ai contenuti dei modelli di organizzazione, gestione e controllo un contributo senza dubbi importante proviene dalla recente sentenza della Corte d’Appello di Venezia, la n. 3348 del 4 gennaio 2023 riguardante il caso della Banca Popolare di Vicenza, persona giuridica imputata in un procedimento 231.

2.    Il caso

Sulla vicenda in commento si era espresso il Tribunale di Vicenza con la sentenza del 19 marzo 2021 n. 348 in cui la Banca Popolare di Vicenza veniva condannata per l’illecito amministrativo da reato ai sensi dell’art. 25 ter comma 1 lett. r) ed s) d.lgs. n. 231 del 2001 in relazione ai reati di aggiotaggio e ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza di cui agli artt. 2638 e 2637 cod. civ.

Il giudizio si è concluso con una severa condanna per l’istituto di credito e la motivazione della decisione ha riguardato la censura del comportamento dei membri dell’Organismo di Vigilanza la cui inadeguatezza – in termini di funzionamento e composizione – rende, secondo il giudice di prime cure, inidoneo il modello (cfr. sul punto C. Santoriello, Autonomia, indipendenza ed operato dell’OdV: note alla sentenza sul caso Banca Popolare di Vicenza, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 7-8).

La Corte di Appello di Venezia, da ultimo, ha sostanzialmente confermato la condanna ai sensi del D.lgs. 231/2001.

3.    Il percorso argomentativo dei Giudici di Secondo Grado.

3.1.  In tema di adeguatezza ed efficace attuazione dei Modelli 231.

Nella propria pronuncia la Corte di Appello di Venezia ha evidenziato la necessità che il Modello 231 sia caratterizzato da prescrizioni che non siano generiche, di portata assolutamente generale o contenenti divieti attinenti a profili marginali rispetto alla esigenza di prevenire i reati ma, al contrariosia:

  • Calato nella realtà aziendale nella quale è destinato a trovare attuazione e sia,
  • Composto da protocolli realmente funzionali a prevenire i reati che più facilmente possono verificarsi nella gestione delle attività aziendali.

Il Collegio di Secondo Grado, in particolare, riprendendo le due principali osservazioni formulate dal Tribunale in punto di responsabilità 231:

  • Da un lato, fà propria la considerazione secondo cui «nel modello adottato da BPVi, nulla di realmente specifico fosse previsto con riferimento alla prevenzione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, fin dalla fase di profilazione dei rischi»;
  • Dall’altro, precisa «come il modello non fosse stato attuato e presidiato da un organismo di vigilanza realmente idoneo allo scopo (sotto lo specifico profilo della dotazione di adeguati poteri e, soprattutto, degli indispensabili requisiti di indipendenza)».

Ne deriva, secondo i Giudici di Appello, che «un modello organizzativo adeguato – la sussistenza del quale vale, unitamente alle altre condizioni, ad escludere la “colpa di organizzazione” (e, quindi, la responsabilità dell’ente, ex art. 6, co. 1 lett. a), D. l.vo 231/01) – deve essere caratterizzato dall’adozione e dalla conseguente attuazione di contro-misure di “prevenzione” idonee ed efficaci, contro­ misure che, per essere ritenute tali, non solo devono rispondere ai parametri astrattamente delineati ex artt. 6, 7 D.L.vo citato, ma devono poi essere adeguate alla concreta situazione di riferimento».

Ad avviso di chi scrive, il fulcro della conclusione del giudicante risiede nell’affermazione di assoluta genericità delle prescrizioni del Modello 231.

Si legge, infatti, nella decisione che «il modello in esame contiene indicazioni  di portata assolutamente generale per prevenire la commissione dei delitti in questione, in  larga parte risolvendosi nella previsione della adozione di un’organizzazione interna basata sui criteri di ripartizione di competenze e segregazione funzionale in ordine a specifiche attività, nonché di cura di adempimenti formali, ovvero nell’impartire divieti attinenti a profili marginali rispetto all’esigenza di prevenire i reati in esame».

La Corte d’Appello, poi, definisce specificamente quali sono i deficit del modello sottoposto alla sua analisi, riscontrando ed evidenziando l’assenza di previsioni puntuali riferibili a:

  • «a) meccanismi di controllo delle operazioni di collocamento delle azioni dell’istituto, azioni il cui valore – va ribadito – era affidato alla autodeterminazione da parte della banca;
  • b) impieghi ai quali erano destinati i finanziamenti concessi dall’istituto medesimo rispetto alla collocazione delle azioni (a mero titolo di esempio: non era contemplata la diretta verifica delle operazioni di finanziamento; né erano disciplinate interlocuzioni con la clientela finanziata, neppure in relazione agli aumenti di capitale);
  • c) flusso di informazioni interne (sempre a titolo meramente esemplificativo: manca la previsione di report periodici provenienti dai settori più a rischio in relazione alle fattispecie in esame; né constano presidi organizzativi tali da assicurare che all’OdV potessero giungere segnalazioni con modalità tali da assicurare garanzie reali di riservatezza);
  • d) flusso di informazioni esterne», rispetto al quale è stato osservato come «nel modello adottato da BPVi nessuna efficace verifica risulta prevista sul fronte delle comunicazioni “esterne” (ivi compresi i comunicati stampa) ad opera di un organismo di vigilanza interno che fosse effettivamente munito (come si dirà meglio più oltre) di reali requisiti di autonomia».

3.2. I requisiti di autonomia e indipendenza dell’Organismo di Vigilanza.

Chiuso il tema dell’idoneità del modello 231, la pronuncia in esame si sofferma, poi, sui requisiti di indipendenza ed autonomia dell’Organismo di Vigilanza nel senso, già condiviso dalla giurisprudenza maggioritaria, nonché ripreso dalle Linee Guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del d.lgs. 231/2001” di Confindustria, di assenza di:

  1. Subordinazione del controllante al controllato e, in ogni caso,
  2. Possibili ragioni di condizionamento.

Nello specifico, il ragionamento condotto dal Collegio si è focalizzato su:

  • Importanza della programmazione dell’attività di verifica dell’OdV, come risultante dai verbali dell’attività svolta;
  • Garanzie di riservatezza delle comunicazioni da inviare all’Organismo di Vigilanza.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello, richiamando l’istruttoria dibattimentale di primo grado, ha evidenziato come nel corso della stessa fosse emersa una completa “osmosi” di fatto tra l’OdV ed il management aziendale, al punto che i margini di autonomia e di efficienza dell’attività di controllo dell’OdV fossero, nella sostanza, del tutto compromessi.

In motivazione si evince, infatti, come l’Organismo di Vigilanza fosse privo di autonomia effettiva rispetto alla direzione societaria”.

In tal senso, secondo i Giudici, molto importante è stata la valutazione circa la composizione dell’OdV.

In proposito,il Modello 231 della Banca imputata prevedeva che tale l’Organismo di Vigilanza fosse composto dal Responsabile pro-tempore della Direzione Internal Audit e da due professionisti esterni i quali non avessero alcun rapporto di lavoro dipendente con il Gruppo bancario Banca Popolare di Vicenza.

Era, inoltre, previsto che il Presidente dell’OdV non rivestisse “cariche sociali nelle società del Gruppo medesimo”.

Con riferimento a tale previsione, la sentenza di secondo grado ha sottolineato che i componenti dell’Organismo di Vigilanza non potessero, nel caso in esame, vantare i requisiti di autonomia ed indipendenza, in quanto:

  • Il membro interno era dipendente gerarchicamente dal Direttore Generale e funzionalmente dal CdA;
  • I componenti esterni risultavano invece aver ricevuto compensi professionali da società riconducibili al Gruppo bancario facendo venir meno tale circostanza la loro indipendenza di giudizio.

Al di là degli aspetti riguardanti la struttura soggettiva dell’OdV, altro motivo di censura per la Corte è stata la circostanza relativa alla predisposizione della relazione dell’OdV da parte del Direttore Generale, vale a dire di un soggetto non facente parte dell’Organismo, dunque non competente per tale atto e, per di più, investito di un ruolo apicale, soggetto a controllo da parte dello stesso OdV.

Ulteriori indicatori di inadeguatezza del sistema 231 con riferimento all’Organismo di Vigilanza sono stati:

  • La durata della condotta illecita, protrattasi per alcuni anni;
  • Il numero elevato di soggetti coinvolti;
  • La mancanza di programmazione per le attività di verifica dell’OdV.
  • L’assenza di una garanzia di riservatezza delle comunicazioni da inviare all’OdV.

Nella pronuncia, ancora, viene presa in esame pure la circostanza relativa alle attribuzioni, successivamente, delle funzioni di vigilanza in materia 231 al Collegio Sindacale.

Rispetto a tale profilo, il Collegio evidenza come «la situazione, sotto tale profilo, non sia affatto migliorata», posto che «tale organismo difettava anch’esso di reale indipendenza, in quanto costituito secondo logiche di cooptazione e composto da sindaci alcuni dei quali avevano importanti interessenze con il presidente”.

4.    Conclusioni

Le considerazioni che precedono sono state alla base della valutazione da parte della Corte di Appello di Venezia dell’inadeguatezza del Modello 231 di Banca Popolare di Vicenza in relazione alla fattispecie sottoposta a giudizio.

Una inadeguatezza rinvenibile – usando le parole dei Giudici – «dalla semplice constatazione che la commissione dei reati non ha affatto richiesto alcuna condotta elusiva e fraudolenta del modello in esame: molto più semplicemente, detto modello non ha rappresentato ostacolo di sorta per la consumazione delle condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (in particolare, per quanto concerne le comunicazioni al mercato ed alla vigilanza), tanto che gli autori delle condotte delittuose non si sono minimamente dovuti preoccupare di “aggirarlo” e, questo, proprio perché il modello in questione costituiva un presidio non solo del tutto formale ma anche radicalmente “fuori fuoco” rispetto alle condotte sub iudice».

Qual è l’insegnamento che si ricava dalla sentenza commentata?

  • Innanzitutto, che, con riferimento al tema dell’idoneità dei Modelli 231 risulta dirimente al fine di impostare un’infrastruttura realmente e credibilmente preventiva dei rischi-reato l’attività di risk assessment. Sotto tale profilo, infatti, solo una seria, competente ed attenta valutazione dei processi aziendali è in grado di intravvedere i rischi che si nascondono nelle relative attività e di guidare verso l’adozione di controlli capaci di contenere la possibilità che quei rischi possano effettivamente concretizzarsi nella pratica; ciò che è mancato nel caso in esame con riferimento ai reati di agiotaggio e false comunicazioni sociali.
  • In secondo luogo, che occorre aver cura di assicurare, nell’ambito dell’intero sistema 231, una realeautonomia e indipendenza dell’OdV:
    • Sia nella fase di individuazione dei suoi componenti, i quali non devono avere in precedenza intrattenuto rapporti professionali con l’organizzazione verso cui svolgeranno la funzione di OdV, né con il gruppo a cui questa appartiene;
    • Sia negli aspetti operativi delle attività di controllo dell’OdV quali la programmazione delle relative attività o i report periodici da indirizzare ai vertici societari o agli altri organi di controllo, i quali devono essere in grado di dimostrare l’autonomia di organizzazione ed azione dell’Organismo di Vigilanza.

Avv. Adamo Brunetti

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