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“Cancellazione” della persona giuridica ed estinzione dell’illecito 231: revirement della Cassazione

Court of Cassation, Rome, Italy
231 / Giustizia

“Cancellazione” della persona giuridica ed estinzione dell’illecito 231: revirement della Cassazione

Cas. Pen, Sez. VI (data ud. 13/02/2024), n. 25648

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha affrontato un quesito importante nell’ambito della responsabilità amministrativa degli enti, ex D.Lgs. 231/2001: quale sia il destino della responsabilità da reato della persona giuridica a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese.

La questione, di non facile soluzione, è stata oggetto di un ampio dibattito giurisprudenziale e dottrinale, polarizzando gli orientamenti interpretativi.

La Corte, aderendo ad un orientamento in apparenza minoritario, ha affermato il principio secondo cui la cancellazione della persona giuridica dal registro delle imprese determina l’estinzione della responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/2001, con conseguente cessazione del procedimento. Di seguito un’analisi della pronuncia.

1. Il caso

Il Tribunale di Milano, con sentenza dell’8 settembre 2020 ha condannato la persona fisica per i delitti di turbata libertà degli incanti e di scelta del contraente (capo A), oltre che per corruzione (capo B), nonché le società ad egli collegate di cui una in liquidazione, alla sanzione pecuniaria di C 50.000 per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25, comma 3, d. Igs. n. 231 del 2001 in relazione al reato presupposto di corruzione contestato alla persona fisica.

La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha dichiarato prescritto il delitto di corruzione, ha rideterminato la pena per i delitti di cui agli artt. 352 e 353-bis cod. pen. a seguito di concordato in appello e, per quanto rileva in questa sede, ha dichiarato «non doversi procedere [nei confronti della seconda società in liquidazione] in ordine all’illecito amministrativo ascritto perché estinto per intervenuta cessazione della società».

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la cancellazione della società non fosse avvenuta con modalità fraudolente, nonostante: a) la composizione societaria riconducibile all’imputato; b) la cronologia dei fatti da cui risultava, come sostenuto dal Tribunale, che la cancellazione fosse “patologica” perché avvenuta il 9 maggio 2017 cioè dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini (del 5 maggio 2015) e dopo la richiesta di rinvio a giudizio (del 6 dicembre 2016). Inoltre, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’art. 70, comma 2, del d. Igs. n. 231 del 2001 secondo il quale «la sentenza pronunciata nei confronti dell’ente originariamente responsabile ha comunque effetto anche nei confronti degli enti indicati nel comma 1», norma sino ad oggi applicata a tutti i casi nei quali la vicenda modificativa dell’ente sia rimasta ignota al giudice, come quello di specie, in cui il difensore ha taciuto, sino all’ultima udienza l’intervenuta cancellazione della società, con ciò che ne consegue in termini di responsabilità per gli autori di detto atto, determinando l’insorgenza di un credito nei confronti dei soggetti indicati dall’art. 2495 cod. civ. in favore dello Stato.

2. Il ragionamento della Corte di Cassazione

Come precisato dalla medesima S.C., la questione dell’equiparazione tra società cancellata e morte del reo, con relativa cessazione di ogni rapporto processuale dipendente dall’illecito derivante dal delitto presupposto, ha visto negli anni svilupparsi un ricco dibattito giurisprudenziale e dottrinale con due diverse posizioni.

Da un lato risulta l’orientamento assunto dalla Corte di appello di Milano, ripreso dalla sentenza della Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, Starco s.r.l. Rv. 277107; dall’altro lato, quella sostenuta dal Procuratore generale nella sua requisitoria, (Sez. 4, n. 9006 del 22/02/2022, Cenci, Rv. 282763 e Sez. 2, n. 37655 dell’8/06/2023, Barnaba, non mass.).

Quest’ultima è orientata ad evitare che la compagine sociale, con cancellazioni “di comodo”, paralizzi la risposta punitiva dell’ordinamento e, prima ancora, l’accertamento della responsabilità dell’ente per fatti anteriormente commessi.

Gli argomenti sono i seguenti:

  • la natura tassativa delle cause estintive dei reati che, dunque, non possono essere interpretate estensivamente;
  • il fallimento (ora liquidazione giudiziale) della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d. Igs. n. 231 del 2001 (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland Spa, Rv. 263682) cosicché non vi sono ragioni per un diverso esito in ordine alla cancellazione della società;
  • il rinvio operato dall’art. 35 d. Igs. n. 231 del 2001 alle disposizioni processuali relative all’imputato non è indiscriminato, ma solo «in quanto compatibili».

A questi argomenti, la requisitoria del Procuratore generale della Corte di cassazione ha aggiunto l’esclusione dell’istituto della messa alla prova alla responsabilità degli enti con richiamo all’art. 67 d. Igs. n. 231 del 2001 che si riferisce solo ai casi previsti dall’art. 60 e all’estinzione per prescrizione (Sez. U, n. 14840 del 27/10/2022, dep. 2023, Società La sportiva, Rv. 284273).

Secondo la Corte, le argomentazioni di detta seconda posizione giurisprudenziale non sono condivisibili.

L’origine del contrasto, prosegue la motivazione della sentenza, risiederebbe nel fatto che il d. Igs. n. 231 del 2001, pur occupandosi agli artt. 28-33 delle conseguenze, sul piano penale delle vicende modificative dell’ente (trasformazione, fusione, scissione e cessione di azienda), non stabilisce quali siano gli effetti della sua estinzione, come avviene con la cancellazione della società dal registro delle imprese.

All’epoca di approvazione del citato decreto legislativo, la giurisprudenza di legittimità civile era unanime nel ritenere che la cancellazione avesse effetti meramente dichiarativi, tanto da far permanere una “soggettività attenuata” della società con una legittimazione processuale (attiva o passiva) tale da consentire la prosecuzione, nei suoi confronti, del processo.

Tuttavia, la Cassazione pone in rilievo la riforma del diritto societario di cui al d. Igs. n. 6 del 2003, in base alla quale, fra le altre cose, la cancellazione ha assunto effetti costitutivi dell’estinzione irreversibile della società, ai sensi dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ., anche in presenza di debiti rimasti insoddisfatti e rapporti non definiti, come ulteriormente confermato dalle Sezioni unite civili (Sez. U, nn. 4060, 4061 e 4062 del 22/02/2010 e Sez. U civ. 12/03/2013 nn. 6070, 6071 e 6072).

Tale impostazione conferma che le formalità della cancellazione dal registro delle imprese comportano il venir meno della persona giuridica, con l’inevitabile conclusione che le si estendano le disposizioni riguardanti l’imputato, ai sensi dell’art. 35 del d. Igs n. 231 del 2001, e si generino, così, gli stessi effetti della morte del reo.

Prosegue il ragionamento sottolineando che la diversa tesi non offre adeguata risposta ad alcune questioni dirimenti, la prima delle quali è “l’inutilità delle sanzioni in caso di estinzione dell’ente sia perché inflitte ad un soggetto inesistente sotto il profilo civilistico; sia perché quelle previste dall’art. 9, comma 2, d. Igs. n. 231 del 2001 mirano a limitare o inibire specifiche attività svolte dall’ente non solo per ragioni strettamente punitive, ma anche per favorirne l’adeguamento al sistema normativo, funzioni non perseguibili per assenza del soggetto destinatario”.

Invero, verrebbe meno la logicità di irrogare una sanzione interdittiva, la quale ha ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito commesso dall’ente, che presuppone che questo continui a svolgerla al fine di inibirla, condizione non esistente rispetto ad una società cancellata dal registro delle imprese. In termini analoghi si deve concludere con riferimento alle sanzioni pecuniarie, finalizzate a colpire la disponibilità economica dell’ente necessaria per la sua operatività nel mondo giuridico, ma che, una volta venuta meno, non è più funzionale all’obiettivo perseguito.

Vengono, così, rispettati anche i principi di responsabilità personale e di colpevolezza sanciti dall’art. 27 Cost., di cui l’art. 27, comma 1, posto che l’obbligazione derivante dal pagamento della sanzione, derivante da reato ed irrogata all’ente, non è applicabile a terzi, atteso anche il rischio che ne rispondano soggetti estranei alla fattispecie di reato che ha generato la responsabilità della persona giuridica.. Respinto è, infine, anche l’orientamento volto a ritenere, in via interpretativa, l’estensione al caso della liquidazione successiva alla cancellazione della società dal registro delle imprese dei principi statuiti dagli artt. 28-33 del d. Igs n. 231 del 2001 (“Vicende modificative dell’ente”) in quanto l’estinzione produce, quale effetto costitutivo, l’irreversibile dissoluzione della società – sotto il profilo sia sostanziale che formale – e non è paragonabile alla trasformazione o fusione dell’ente o alla scissione o cessione dell’azienda in quanto le prime due presuppongono la prosecuzione del soggetto giuridico sotto una diversa forma e le altre una vicenda modificativa dell’ente.

3. Considerazioni conclusive

In conclusione, la Corte di Cassazione ha affermato che la cancellazione della persona giuridica determina l’estinzione dell’illecito derivante dalla responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/2001, in quanto la persona giuridica, una volta cancellata, cessa di esistere come soggetto di diritto e non può più essere destinataria di sanzioni.

Avv. Adamo Brunetti

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