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<strong>La colpa di organizzazione non coincide con la “colpevolezza” della persona fisica responsabile del reato.</strong>

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231 / sicurezza

La colpa di organizzazione non coincide con la “colpevolezza” della persona fisica responsabile del reato.

Commento a Cassazione, IV Sez. n. 570 del 13.1.2023

Introduzione

Con la pronuncia della IV Sezione, n. 570 dell’11.1.2023 (udienza del 4 ottobre 2022), la Corte di Cassazione si è si è pronunciata sulla condanna a carico di una società per l’illecito amministrativo di cui agli artt. 5 e 25 septies d.lgs. 231/2001 in relazione alle lesioni colpose patite da un dipendente della stessa a seguito della violazione delle norme poste a tutela della sicurezza sul lavoro.

1. Il caso

La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado del 27/05/2019, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della persona fisica (datore di lavoro) per essere il reato a lui ascritto estinto per intervenuta morte del reo.

Ha, invece, confermato l’impugnata sentenza con riguardo alla ritenuta responsabilità amministrativa della persona giuridica, condannata alla sanzione amministrativa di euro 30.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali.

Pronunciandosi sul caso in esame, la Suprema Corte interviene chiarendo alcuni aspetti importanti in tema di profili di responsabilità da reato dell’amministratore/datore di lavoro e dei profili di responsabilità da illecito amministrativo della società.

L’attenzione maggiore che la Cassazione evidenzia nella propria sentenza riguarda soprattutto la necessità di non confondere i due succitati profili di responsabilità.

2. Le argomentazioni della Corte

La sentenza impugnata addebita alla società il fatto di non aver svolto alcuna adeguata valutazione sui fornitori, nonostante fosse prevista nel modello, e di non avere predisposto a norma il ponteggio nonostante la sua corretta edificazione fosse prevista nella documentazione predisposta come richiesto dalla normativa edilizia.

La Suprema Corte rileva che, già dalla descrizione del capo d’accusa, non emerge con chiarezza il concreto profilo di responsabilità addebitato alla società ai sensi della disciplina del decreto n. 231/2001, avuto riguardo ai modelli organizzativi richiamati dagli art. 6 e 7 del D.lgs. n. 231/2001, la cui efficace adozione consente all’ente di non rispondere dell’illecito, ma la cui mancanza, di per sé, non può implicare un automatico addebito di responsabilità.

La Cassazione richiama sul punto il proprio recente orientamento, che afferma come  la struttura dell’illecito addebitato all’ente risulti “incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale la relazione funzionale intercorrente tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno unicamente la funzione di irrobustire il rapporto di immedesimazione organica, escludendo che possa essere attribuito alla persona morale un reato commesso sì da un soggetto incardinato nell’organizzazione ma per fini estranei agli scopi di questo” (così, in motivazione, Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo. Nello stesso senso, più recentemente, Sez. 4, n. 18413 del 15/02/2022, Cartotecnica Grafica Vicentina srl, Rv. 283247 – 01).

Le considerazioni appena rappresentate, secondo i giudici di legittimità, servono a illustrare  le iniziali perplessità manifestate dal Collegio con riferimento alla struttura dell’illecito delineata nel capo di imputazione, il quale si limita ad addebitare all’ente un mero ‘vantaggio’ (derivante nel risparmio di spesa come più sopra precisato), senza specificare in positivo in cosa sarebbe consistita la “colpa di organizzazione” da cui sarebbe derivato il reato presupposto, che è cosa diversa dalla colpa eventualmente riconducibile al soggetto apicale cui è ascritto il reato.

Inoltre, la motivazione della sentenza impugnata offre un percorso argomentativo carente in punto di responsabilità dell’ente, per certi versi sovrapponendo e confondendo i profili di responsabilità da reato dell’amministratore/datore di lavoro dai profili di responsabilità da illecito amministrativo della società.

Ciò appare evidente nella parte in cui la sentenza impugnata addebita alla società il fatto di non aver svolto alcuna adeguata valutazione sui fornitori, nonostante fosse prevista nel modello, e di non avere predisposto a norma il ponteggio nonostante la sua corretta edificazione fosse prevista nel PIMUS (Piano di Montaggio Uso e Smontaggio).

Trattasi, tuttavia, di profili di colpa che se sono certamente ascrivibili all’amministratore della società, quale datore di lavoro tenuto al rispetto delle norme prevenzionistiche, non necessariamente si estendono in modo automatico anche all’ente in quanto tale.

Sotto tale aspetto, in particolare, la Corte d’Appello meneghina fonda la responsabilità della società ex D.lgs. 231/001 sulla “genericità ed inadeguatezza del modello organizzativo” senza tuttavia fornire positiva dimostrazione della sussistenza di una “colpa di organizzazione” dell’ente.

In realtà, la tipicità dell’illecito 231 rappresenta un modo di essere “colposo”, specificamente individuato, ascrivibile direttamente all’organizzazione dell’ente che abbia consentito al soggetto (persona fisica) di commettere il reato.

In tale prospettiva, la condotta dell’agente deve essere sorretta non tanto da un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica, ma essere conseguenza di un preciso assetto organizzativo “negligente” dell’impresa, “da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo”.

Ne deriva che, nell’accertamento sulla configurabilità dell’illecito amministrativo dell’ente, le condotte colpose dei soggetti responsabili della fattispecie criminosa possono rilevare ai fini 231 solo se emerga la mancanza o l’inadeguatezza delle misure necessarie a prevenire i reati previsti dal D.lgs. n. 231/01 ovvero la loro non attuazione all’interno dell’organizzazione.

Secondo, infatti, la Suprema Corte, la “ricorrenza di tali carenze organizzative, in quanto atte a determinare le condizioni di verificazione del reato presupposto, giustifica il rimprovero e l’imputazione dell’illecito al soggetto collettivo, oltre a sorreggere la costruzione giuridica per cui l’ente risponde dell’illecito per fatto proprio (e non per fatto altrui)”.

3. Conclusioni

Non avendo, dunque, la pronuncia impugnata argomentato in ordine alla reale configurabilità di una colpa organizzativa della società imputata rispetto ai fatti alla stessa ascritti, né approfondito la rilevanza causale della colpa dell’ente rispetto al reato presupposto, la Suprema Corte ha deciso per il relativo annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per un nuovo giudizio.

Avv. Adamo Brunetti

Scarica qui la sentenza

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