Blog

La Corte costituzionale si pronuncia sulla confisca nei reati societari

2025.03.12 articolo mercoledì
Aziende / banche / Giustizia / reati

La Corte costituzionale si pronuncia sulla confisca nei reati societari

Corte costituzionale, 4 febbraio 2025, sentenza n. 7. Presidente Amoroso, Relatore Viganò

La Corte di cassazione – nell’ambito del processo Banca Popolare di Vicenza – aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2641, primo e secondo comma, cod. civ., nella parte in cui assoggetta a confisca per equivalente anche i beni utilizzati per commettere il reato, in relazione agli articoli 3, 27, primo e terzo comma, 42 e 117 Cost., quest’ultimo con riferimento all’articolo 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU, nonché agli articoli 11 e 117 Cost., con riferimento agli articoli 17 e 49, par. 3, CDFUE.

Con la sentenza n. 7 del 2025, la Corte costituzionale ha ritenuto la questione fondata e ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2641, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria di una somma di denaro o beni di valore equivalente a quelli utilizzati per commettere il reato nonché,  in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 2641, primo comma, cod. civ., limitatamente alle parole «e dei beni utilizzati per commetterlo». Di seguito un’analisi della pronuncia.

1. Il caso

La questione è stata sottoposta alla Corte costituzionale dalla Corte di cassazione nell’ambito del processo relativo alla crisi della Banca popolare di Vicenza.
In primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva disposto, a carico di quattro imputati, la confisca dell’importo di 963 milioni di euro, ritenuto corrispondente alle somme di denaro utilizzate per la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea, dei quali gli imputati erano stati ritenuti responsabili. In particolare, il Tribunale aveva calcolato l’importo da confiscare sommando tutti i finanziamenti concessi a terzi dalla Banca popolare affinché acquistassero azioni della stessa Banca, senza poi dichiarare tali finanziamenti secondo le modalità previste dalla legge.
In secondo grado, la Corte d’appello di Venezia aveva confermato in parte la responsabilità penale degli imputati, ma aveva revocato la confisca, giudicandola in contrasto con il principio di proporzionalità delle pene sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Il Procuratore generale aveva quindi proposto ricorso alla Corte di cassazione, sostenendo che la Corte d’appello avesse erroneamente disapplicato l’articolo 2641 del codice civile, che impone al giudice di confiscare i beni utilizzati per commettere, tra gli altri, i reati di aggiotaggio e di ostacolo alle funzioni di vigilanza, o comunque beni o somme di valore equivalente.
La Corte di cassazione, condividendo i dubbi della Corte d’appello circa la possibile sproporzione di una confisca di quasi un miliardo di euro a carico di quattro persone fisiche, ha sollevato questione di legittimità costituzionale sull’articolo 2641 del codice civile, ritenendo necessario l’intervento della Corte costituzionale per statuire definitivamente sulla compatibilità o incompatibilità della norma con i principi costituzionali e, al tempo stesso, con i diritti stabiliti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

2. Il ragionamento della Corte di Cassazione

La Corte costituzionale ha ritenuto le questioni sono fondate in riferimento al principio di proporzionalità della pena di cui agli artt. 3, 27, terzo comma, nonché agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione all’art. 49, paragrafo 3, CDFUE, restando assorbiti gli ulteriori parametri evocati dal giudice a quo .

La confisca, diretta e per equivalente, dei beni utilizzati per commettere uno dei reati disciplinati dal Titolo XI del Libro V del codice civile, prevista dalla disposizione censurata, ha natura di vera e propria pena di carattere patrimoniale, e in quanto tale deve rispettare il principio di proporzionalità della pena.

La confisca dei beni strumentali e di somme di denaro o beni di valore ad essi equivalenti prevista dalla disposizione censurata è strutturalmente indifferente a tali condizioni; pertanto, la sua previsione in termini di obbligatorietà vincola il giudice ad applicarla anche quando, nel caso concreto, essa risulti manifestamente sproporzionata, ponendosi così in contrasto con il principio di proporzionalità.

Questa conclusione trova conferma nel diritto comparato e nel diritto dell’Unione europea, in cui la previsione della confisca dei beni strumentali è di regola subordinata a una valutazione di compatibilità della sua inflizione, nel caso concreto, con il principio di proporzionalità.

Interessante il rilievo della Consulta secondo cui, come già rilevato nella sentenza n. 5 del 2023,” non tutte le misure che rientrano nella competenza del giudice penale sono soggette al medesimo statuto di garanzia. La Costituzione prevede, al secondo e al terzo comma dell’art. 25, una diversa estensione del principio di legalità in materia, rispettivamente, di pene e di misure di sicurezza. E persino il principio di proporzionalità – che pure è «requisito di sistema nell’ordinamento costituzionale italiano, in relazione a ogni atto dell’autorità suscettibile di incidere sui diritti fondamentali dell’individuo”– si declina in modo necessariamente differente laddove sia riferito a misure orientate primariamente a punire l’interessato per un fatto da questi colpevolmente commesso, oppure a prevenire un pericolo (come nel caso delle misure di sicurezza e delle misure cautelari), o ancora a ripristinare semplicemente la situazione, fattuale e giuridica, preesistente al reato (come nel caso dell’ordine di demolizione di un immobile abusivamente costruito)”.

Ciò vale anche rispetto alle diverse forme di confisca affidate alla competenza del giudice penale, la cui natura deve «essere valutata in relazione alla specifica finalità e allo specifico oggetto di ciascuna di esse,nella consapevolezza – emersa già in pronunce assai risalenti di questa Corte (sentenze n. 46 del 1964 e n. 29 del 1961) – della estrema varietà di disciplina e funzioni delle confische previste nell’ordinamento italiano».

Prosegue la Corte, come già sottolineato nella sentenza n. 112 del 2019, la confisca del “profitto” di un illecito ha «mera funzione ripristinatoria della situazione patrimoniale precedente» alla commissione del fatto in capo all’autore.

Una tale osservazione vale, allo stesso modo, per le confische disposte dall’autorità amministrativa e per quelle disposte dal giudice penale. Anche in relazione a queste ultime, infatti, la finalità essenziale della misura risiede nel sottrarre al reo l’utilità economica acquisita mediante la violazione della legge penale, e che egli non ha il diritto di trattenere, proprio in ragione della sua origine radicalmente illecita. Ciò che esclude quell’effetto peggiorativo della sua situazione patrimoniale preesistente, che necessariamente inerisce alle sanzioni dal contenuto “punitivo”. Al contrario, conclude la Consulta, “la confisca dei “beni utilizzati per commettere l’illecito” (o semplicemente “beni strumentali”) incide su beni non ottenuti attraverso un’attività criminosa, e che dunque, di regola, erano legittimamente posseduti dall’autore del reato al momento del fatto; sicché la loro ablazione ad opera del giudice penale determina un peggioramento della sua situazione patrimoniale preesistente al reato. Il che senz’altro esclude che tale misura possa avere una natura meramente “ripristinatoria” dello status quo ante” .

Alle medesime conclusioni deve pervenirsi con riferimento alla confisca di beni o somme di valore equivalente ai beni utilizzati per commettere il reato. In linea generale, infatti, la confisca per equivalente mira a far sì che il reo subisca, nel suo patrimonio complessivo, la medesima perdita – in termini economici – che avrebbe sofferto laddove fosse stato possibile eseguire, in via diretta, l’ablazione degli specifici beni dei quali la legge dispone la confisca; sì da evitare che egli possa continuare a godere delle utilità derivanti da tali beni, una volta che li abbia comunque messi al riparo dalla pretesa ablatoria statale. Laddove, dunque, la confisca di un bene o di una somma di denaro abbia natura di pena, quella medesima natura dovrà essere ascritta anche alla corrispondente ipotesi di confisca per equivalente.

Considerazioni conclusive

Sulla base di tali premesse, la Corte Costituzionale:

  1. dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2641, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria di una somma di denaro o beni di valore equivalente a quelli utilizzati per commettere il reato;
  2. dichiara in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 2641, primo comma, cod. civ., limitatamente alle parole «e dei beni utilizzati per commetterlo».

Avv. Adamo Brunetti

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy