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Modelli riparatori e giudizio sulla loro idoneità.

Mog e reati ambientali
231 / Aziende / Business

Modelli riparatori e giudizio sulla loro idoneità.

Breve commento a Cassazione penale sez. III  23/11/2023, n. 49396

In una recente pronuncia di legittimità in tema di responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, è stato rigettato il ricorso di un ente condannato per smaltimento illecito di fanghi di depurazione, che aveva chiesto uno sconto di pena (ai sensi dell’articolo 12, comma 2, lett. b) del Decreto 231 cit.) per avere adottato il modello di organizzazione, gestione e controllo successivamente alla commissione del reato presupposto da parte di un proprio apicale (c.d. “modello riparatore”).

La Corte, infatti, ha ritenuto la semplice adozione del modello 231 non sufficiente a far configurare l’attenuante, essendo viceversa necessaria anche la reale e comprovata operatività del modello stesso.

1.     Il caso.

Il Tribunale di primo grado condannava la società ricorrente alla sanzione pecuniaria di euro 129.000,00, in relazione all’illecito amministrativo da reato di cui all’articolo 25-undecies – reati ambientali, comma 2, D.Lgs. 231/2001, connesso al reato presupposto di cui all’articolo 256, commi 1 e 2, D.Lgs. 152/2006 commesso dal suo «apicale» (presidente del CdA e legale rappresentante della società), per avere di fatto consentito, a interesse o vantaggio dell’ente, che gli impianti di depurazione siti in località effettuassero uno smaltimento illecito di fanghi di depurazione prodotti (effettuato mediante diluizione dei fanghi – rifiuti speciali – con i le acque reflue di scarico e/o prelevando e sversando detti fanghi direttamente nel corpo idrico superficiale), valutabile nell’ordine di centinaia di tonnellate, diluendo con i medesimi le acque reflue di scarico, ovvero sversando tali fanghi direttamente nel corso d’acqua.

2.    Le argomentazioni della Cassazione.

Fra gli altri, è di interesse il quarto motivo trattato dalla Suprema Corte, relativo all’attenuante per l’adozione di un efficace e specifico Modello 231.

In tema di quantificazione della pena pecuniaria l’articolo 11 del Decreto 231/01 stabilisce che il giudice ne determina l’ammontare tenendo conto della gravita del fatto, del grado della responsabilità dell’ente, nonché dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.

Come noto, poi, ai sensi dell’articolo 6 del D.Lgs. 231/2001, la responsabilità dell’ente è esclusa se ricorrono le seguenti condizioni:

  • L’avere adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (comma 1, lettera a), nonché
  • L’aver affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento (lettera b).

Il modello 231, tuttavia, non ha soltanto una funzione esimente.

Esso, invero, può svolgere – se successivo alla commissione dell’illecito presupposto – anche una funzione di attenuazione dell’ammontare della sanzione complessiva.

Ed infatti, nel caso in cui, post factum, sia stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quelle verificatosi, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, lettera b) del decreto, è prevista una diminuzione della pena da un terzo alla metà.

A tal proposito, il Collegio giudicante – nel rigettare le doglianze osserva come la Corte abbia già in precedenti occasioni (v. Sez. 4, n. 38025 del 1 5/09/2022) chiarito che “la mera «adozione» del MOG non è sufficiente a far scattare l’attenuante; ed invero, come specificamente richiesto dalla lettera della norma, è necessario che tale modello sia «reso operativo» e che sia anche «idoneo» a prevenire la commissione di reati della stessa specie”.

Pertanto, secondo la Cassazione, non sussiste “alcun automatismo tra l’adozione del modello e la concessione dell’attenuante, che è invece subordinata, come evidenziato anche in dottrina, ad un giudizio di natura fattuale, essendo il giudice tenuto a verificare se la lettera della norma sia stata rispettata specificatamente e nel suo complesso”.

Insomma, non basta l’adozione formale del modello “riparatore” per far determinare il ricorrere dell’attenuante di cui all’art. 12 D.Lgs. 231/2001, essendo invece necessaria la reale e concreta attuazione dei presidi di controllo in esso contenuti che si traduce nell’implementazione delle procedure attuative dei protocolli contemplati nel modello stesso ed in una specifica e documentata attività di verifica e controllo da parte dell’Organismo di Vigilanza all’uopo istituito.

Utile in tal senso potrebbe essere anche l’evidenza dei flussi informativi da e verso l’OdV a testimonianza di un costante aggiornamento sulle vicende afferenti ai processi sensibili mappati all’interno del modello 231 e sottoposti a disciplina interna mediante, appunto, regole comportamentali preventive degli illeciti presupposto ritenuti di più probabile configurazione nelle specifiche aree. 

3.    Considerazioni conclusive.

In conclusione, sulla sentenza in commento, la Cassazione ha comunque dichiarato:

  • L’annullamento senza rinvio con riferimento agli illeciti commessi in data precedente al 16 agosto 2011 perché il fatto non era previsto dalla legge come illecito amministrativo. Invero, l’articolo 25-undecies D.Lgs. 231/2001 e stato introdotto, a far data dal 16 agosto 2011, dal D.Lgs. n. 121 del 07/07/2011, mentre la contestazione era genericamente riferita ad un arco temporale compreso tra il 2010 e il 2015, e in sentenza non era rinvenibile alcun riferimento alla esclusione, nel giudizio di colpevolezza, del periodo in cui la condotta non era considerata quale reato presupposto dell’illecito amministrativo da reato dell’ente;
  • L’annullamento con rinvio al tribunale di primo grado in diversa composizione per la rideterminazione della pena pecuniaria, in quanto la sentenza impugnata irroga la sanzione pecuniaria nella misura di trecento quote, laddove l’articolo 25-undecies, comma 2, lettera b), n. 1), del D.Lgs. 231/2001 prevede, per il reato presupposto di cui all’articolo 256, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 152/2006, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote. La pena concretamente irrogata era pertanto superiore al massimo edittale, ed è da considerarsi «illegale».

Avv. Adamo Brunetti

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