Modifica della titolarità del profitto illecito e configurazione dell’autoriciclaggio
05/05/2022 2022-05-05 11:39Modifica della titolarità del profitto illecito e configurazione dell’autoriciclaggio
Modifica della titolarità del profitto illecito e configurazione dell’autoriciclaggio
Con la sentenza n. 45397 del 9.12.2021, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha confermato il principio di diritto, già più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’autoriciclaggio si realizza anche quando la titolarità del profitto illecito venga trasferita ad un terzo.
1. IL CASO
La pronuncia segue un ricorso per Cassazione proposto a seguito del provvedimento del Tribunale di Roma che rigettava l’appello dei ricorrenti avverso l’ordinanza emessa dal GIP dei Tribunale di Latina, che aveva applicato nei loro confronti la misura interdittiva del divieto di esercitare le rispettive professioni per un anno.
Secondo la prospettazione accusatoria, gli indagati, avevano commesso i reati di:
- induzione in errore del curatore del fallimento a prendere interesse privato in un atto della procedura (artt. 48-228 Legge Fallimentare), contestato all’amministratore della srl, nominato curatore del fallimento (capo 1) degli addebiti provvisori);
- turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353 bis c.p.), contestato agli indagati, al perito e al beneficiario formale di tutte le quote, poi successivamente trasferite dallo stesso al fratello e alla moglie (capo 2); e, infine
- di intestazione fittizia di beni ex art. 512-bis c.p. (capo 3).
I ricorrenti, invero, avrebbero con le loro condotte interferito illecitamente nell’ambito di una procedura fallimentare, turbando occultamente la regolarità della vendita delle quote di una S.r.l., proprietaria di un immobile di rilevante valore economico adibito ad albergo.
Detta vendita, infatti, si era conclusa con l’assegnazione di tutte le quote della società in capo ad un unico soggetto per un prezzo di Euro 237.000, ritenuto dall’accusa non corrispondente al valore reale dei beni aziendali, sottostimati in ragione della partecipazione illecita all’operazione del perito estimatore nominato nell’ambito della procedura fallimentare.
I delitti contestati, poi, venivano ritenuti reati presupposto della fattispecie di autoriciclaggio di cui all’art.648- ter.1 c.p.
Uno dei ricorrenti, tra gli altri motivi, lamentava la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di autoriciclaggio.
Secondo l’indagato, invero, la mancata realizzazione dei reati presupposto di cui ai capi 1) e 2) della contestazione, avrebbe fatto venir meno la possibilità di configurare il reato di cui all’art. 648 ter.1. c.p.
Inoltre, non sarebbe individuabile alcuna condotta finalizzata al concreto occultamento delle quote sociali della S.r.l., “non potendosi individuare, nella cessione delle stesse alla società (OMISSIS) s.r.l. alcuna finalità di riciclaggio o di reimpiego, anche in ragione del mancato coinvolgimento, nelle contestazioni di riciclaggio, del legale rappresentante della società acquirente”.
Nel caso in esame al contrario, “appare evidente come la cessione delle quote sociali non avesse alcuna finalità dissimulatoria, ma esclusivamente quella di lucrare legittimamente la plusvalenza riguardo al bene acquisito”.
2. LA DECISIONE DELLA CORTE.
Nella propria pronuncia la Corte sottolinea come, in relazione al reato di autoriciclaggio, la giurisprudenza della stessa Seconda Sezione abbia recentemente ribadito (Sent. n.16059 del 18.12.2019) che “una condotta dissimulatoria” ricorraanche nell’ipotesi in cui “successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso la sua intestazione ad un terzo, persona fisica ovvero società di persone o capitali, poiché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento”.
Ciò posto, a detta dei giudici di legittimità nel caso in esame ricorre senz’altro una delle attività tipiche richieste dalla disposizione incriminatrice di cui all’art. 648- ter.1 c.p., vale a dire quella del “trasferimento” di beni, sostanziatosi nella fattispecie concreta in un trasferimento di quote sociali da una società ad un’altra e quindi, in un’operazione ascrivibile all’ambito delle attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.
Invero, un simile “trasferimento”, seppure ricostruibile nei suoi passaggi, ha nondimeno “attuato, obbiettivamente, un mutamento della titolarità del profitto del reato riveniente dai reati presupposto (..)”.
Tanto basta, dunque, a ritenere configurato – quanto meno a livello ipotetico – il reato di autoriciclaggio il quale ricorre “anche soltanto sulla base di una condotta che abbia creato intralcio non definitivo rispetto alla identificazione della provenienza delittuosa del bene”.
Trattasi, peraltro, di una conclusione alla quale la stessa Corte era già pervenuta in un’altra sentenza, richiamata dal Collegio (Sez. 2, n. 36121/2019), secondo cui: “ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio non occorre che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento alla identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza.”
Insomma, quel che è necessario secondo la Cassazione è che l’ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa del bene sia effettivo e “concreto” secondo una valutazione rimessa, caso per caso, al giudice di merito chiamato ad accertare la reale idoneità della condotta ostativa, più che a compromettere la conoscenza dell’origine del profitto illecito, quanto meno a renderne più ardua la ricostruzione.
Nel caso in questione, a detta della Corte, il Tribunale ha ampiamente individuato le circostanze concrete che lasciavano emergere, senza dubbi di sorta, come gli indagati risultassero “i reali dominus della vicenda illecita, avendo entrambi occultato le loro cointeressenze servendosi di soggetti prestanome[…] attraverso i quali avevano[…] trasferito […]” ad un “terzo soggetto il profitto illecito dei reati presupposto, costituito, dalle quote della S.r.l., ottenendo un controvalore di un milione e mezzo di Euro a fronte di un acquisto per un valore capziosamente sottostimato di Euro 237.000.
L’attività di schermatura, posta in essere attraverso la commissione del reato di cui all’art. 512-bis c.p., – completato con i trasferimenti porta a ritenere che l’intera operazione […] abbia comportato un concreto ostacolo alla identificazione dei beni di provenienza illecita, anche solo per il fatto di aver determinato, in un secondo momento costituito dalla successiva vendita alla S.r.l., una differenziazione tra titolari formali e titolari sostanziali della transazione, solo oggettivamente riferibile a soggetti diversi” dagli indagati “ma a costoro nella sostanza riconducibile”.
Questi, invero, “avevano avuto un ruolo tanto primario quanto occulto nell’ottenimento illecito dei beni poi oggetto del trasferimento“ allontanando da loro – proprio grazie alla fittizia intestazione delle quote societarie all’altra società – il profitto illecito che in tal modo era stato immesso nel mercato rendendo più ardua, a posteriori, la ricostruzione dell’intera operazione e dei suoi reali artefici.
Infine, a nulla rileva che il trasferimento fosse stato effettuato ad un soggetto terzo agli illeciti contestati, in quanto, nell’ipotesi del “trasferimento” di beni provenienti da delitto “a meno di non voler azzerare la portata della norma, non è richiesto che il soggetto mantenga una signoria sul bene anche dopo la transazione, così come avviene nei casi di “impiego“; quel che importa, nel caso del “trasferimento”, è che si sia in presenza degli altri requisiti richiesti dall’art. 648-ter.1.c.p., costituiti, sul piano oggettivo, dalla immissione nel circuito economico sano di beni di provenienza illecita ponendo concreto ostacolo alla loro identificazione”.
Avv. Adamo Brunetti