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Patteggiamento e responsabilità 231: una sentenza della Cassazione

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Patteggiamento e responsabilità 231: una sentenza della Cassazione

Corte di Cassazione – VI Sez. Penale – sentenza 21 giugno n. 24721/2024 (udienza 07/05/2024)

Il principio secondo cui la sentenza di applicazione della pena su richiesta a carico degli imputati avrebbe “valenza probatoria a carico dell’ente” è stato confermato dalla Cassazione con la sentenza n. 24721, depositata il 21 giugno scorso.  

La vicenda origina dall’impugnazione di una S.r.l. contro la condanna per la corruzione commessa dal legale rappresentante e dall’amministratore di fatto. In particolare, la ricorrente lamentava che la dimostrazione del reato presupposto non potesse fondarsi solo sulla sentenza di patteggiamento dei soggetti apicali. 

Di seguito un’analisi della pronuncia. 

1. Il caso

La Corte di appello di Roma, con pronuncia del 26 gennaio 2023, confermava quella di primo grado del Tribunale di Roma che – riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 12, comma 1 lettera a), d.lgs. n. 231 del 2001, per avere l’autore del reato commesso il fatto nel prevalente interesse proprio e l’ente non ne ha ricevuto vantaggio – ha condannato la società imputata alla sanzione pecuniaria di euro 10.815, in relazione all’illecito amministrativo dipendente dal delitto di corruzione commesso dal legale rappresentante e dall’amministratore di fatto della società. 

Avverso tale sentenza l’ente ricorre, a mezzo del proprio difensore, contestando, fra le altre cose, la sussistenza del reato di corruzione, fondato sostanzialmente solo sulla sentenza di “patteggiamento” dei soggetti apicali. Anche con altro motivo, si deduceva vizio di motivazione, in quanto la Corte territoriale avrebbe, in modo illogico e contraddittorio, ritenuto che le sentenze di assoluzione dei coimputati dimostrassero il reato presupposto. 

2. Il ragionamento del Tribunale

Relativamente alla valenza probatoria a carico dell’ente delle sentenze di patteggiamento degli imputati del reato presupposto, la Suprema Corte ha già rilevato come “tale conclusione deriva dalla equiparazione espressa alla sentenza di condanna, contenuta nell’art. 445 cod. proc. pen.” (cfr. da ultimo, v. Sez. 5, n. 7723 del 12/11/2014 – dep. 2015, Mazzola, Rv. 264058; conf. Sez. 5, n. 12344 del 05/12/2017 – dep. 2018, Nicho Casas, Rv. 272665).  

Né, secondo la pronuncia, su tale profilo normativo avrebbe inciso la recente modifica apportata all’art. 445 cit. dal d.lgs. n. 150 del 2022 che ha ivi introdotto il comma 1 bis secondo il quale “se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di legge, diverse da quella penale, che equiparano la sentenza prevista dall’art. 444 comma 2 cod. proc. pen. alla sentenza di condanna”; in riferimento alla valenza penale di dette pronunce, e in specie ai fini all’art. 238 bis cod. proc. pen., nulla è dunque cambiato.  

Inoltre, la sentenza di “patteggiamento” integra un accertamento penale, seppur fondato sugli atti delle indagini preliminari le cui risultanze non vengono contestate dall’imputato; e proprio per tale ragione la sentenza di patteggiamento deve considerarsi compatibile con i principi della Costituzione (si veda sul punto, Corte cost., sent. n. 155 del 1996 che ha rilevato come la sentenza ex art. 444 c.p.p. presupponga pur sempre la “responsabilità” dell’imputato; Corte cost., sent. n. 336 del 2009 che ha evidenziato che alla rinuncia a contestare “il fatto” e la propria “responsabilità” consegue coerentemente che su quel “fatto”, e sulla relativa attribuibilità, si formi il giudicato penale). 

3. Conclusioni

Pertanto, la S.C. ha rigettato il ricorso ed ha condannato la società ricorrente al pagamento delle spese processuali. 

Avv. Adamo Brunetti

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