Responsabilità 231 e doppio livello di legalità
20/04/2022 2022-04-20 7:55Responsabilità 231 e doppio livello di legalità
In una interessante pronuncia del 20.1.2022 (sentenza n. 2234) la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione chiarisce le dinamiche tra la disciplina della responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001 ed il principio di legalità penale.
1. IL CASO
La vicenda processuale sulla quale il Collegio si è espresso riguardava un episodio di inquinamento verificatosi a causa di reiterate perdite di idrocarburi – avvenute in un arco temporale di poco più di 2 mesi – all’interno del complesso industriale di una società per azioni e, precisamente, nel suolo sottostante un serbatoio allocato nell’area di pertinenza della società stessa.
La dinamica dell’evento veniva ricondotta alla perdita di “light catalytic naphtha” dal sistema delle tubature del serbatoio.
In particolare, dagli accertamenti condotti emergeva come nel giorno in cui aveva inizio lo sversamento, sul registro delle consegne veniva annotata una perdita nella mandata del serbatoio in relazione alla quale, tuttavia, non vi era stato alcun intervento.
Qualche giorno dopo si riportava nuovamente sul citato registro un’ulteriore criticità nel medesimo serbatoio, qualificata come “perdita su tronchetto aspirazione interna che va a collegarsi con il dreno dei serbatoi”.
All’interno dell’annotazione si dava atto di una e-mail informativa dell’evento inviata al responsabile del servizio dell’azienda, funzione deputata, tra le altre, ad assicurare condizioni di sicurezza e di tutela dell’ambiente all’interno dello stabilimento, nonché ai responsabili del turno operativo giornaliero, competenti ad inoltrare le richieste di interventi manutentivi degli impianti presenti all’interno dell’area.
L’impianto era situato, all’epoca dei fatti, in un’area individuata dalla L. n. 426 del 1998, come Sito di Interesse Nazionale e in territorio dichiarato “ad elevato rischio di crisi ambientale“.
Nell’ambito del processo
a) Ai ricorrenti, che all’epoca dei fatti rivestivano i ruoli, rispettivamente, di amministratore delegato, di responsabile della sicurezza sul lavoro ed ambiente, nonché – appunto – di responsabile del servizio, venivano dunque contestati i reati di inquinamento e omessa bonifica ai sensi dell’art. 257 commi 1 e 2 D.Lgs. n. 152 del 2006 (T.U. Ambientale), nonché la fattispecie di cui all’art. 256 comma 1, lett. b) e comma 2 D.Lgs. 152/2006 poiché non intervenendo rispetto allo sversamento verificatosi “smaltivano e abbandonavano, mediante immissione nel suolo e nel sottosuolo, ingenti quantitativi di rifiuti liquidi pericolosi costituiti da benzina (prodotto idrocaburico raffinato) provenienti da serbatoio di stoccaggio“;
b) Alla società, invece, venivano ascritti gli illeciti amministrativi di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25 undecies, (Reati Ambientali) in relazione alle condotte contestate alle persone fisiche (art. 256 e 257 D.Lgs. 152/2006) ed appena illustrate.
In primo grado, il Tribunale, condannava la società ritenendola responsabile dell’illecito amministrativo dipendente dal reato relativamente alla contestazione di cui all’art. 256, comma 1, lett. b), del testo unico 152 del 2006.
La Corte d’appello, dal canto suo, confermava la pronuncia emessa dal Tribunale nei confronti della società.
2. LA DECISIONE
La Corte di Cassazione, in prima battuta, precisa come sia possibile affermare il principio di diritto secondo il quale “gli idrocarburi sversati accidentalmente ed inquinanti il terreno e le acque sotterranee devono essere qualificati come rifiuti ai sensi della direttiva 75/442, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, trattandosi di sostanze di delle quali il detentore “si disfa”, non costituendo un prodotto riutilizzabile senza trasformazione ed essendo la sua commercializzazione aleatoria e, implicante operazioni preliminari che non sono economicamente vantaggiose. Occorre precisare che gli idrocarburi accidentalmente sversati sono peraltro considerati rifiuti pericolosi, ai sensi della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 377, pag. 20), e della decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/904/CE, che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell’art. 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689 (GU L 356, pag. 14).”
Successivamente, censura le motivazioni addotte dalla Corte d’Appello nella propria pronuncia.
Questa, in particolare, nel confermare la condanna inflitta in primo grado alla persona giuridica, aveva avallato la decisione del Tribunale di applicare alla società l’illecito amministrativo di cui all’art.25 undecies D.Lgs. 231/2001 in relazione all’art. 256 T.U. Ambiente.
In realtà, tale reato-presupposto (in particolare, l’art. 256, co. 1, lett. b) e co. 2) era contestato all’ente in relazione alla fattispecie contenuta nell’art. 6, lett. a) e lett. d) n. 2 del D.L. 6 novembre 2008, n. 172 (convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2008, n. 210) che punisce – tra gli altri – l’abbandono o lo scarico nel sottosuolo di sostanze non autorizzate, prevedendo un inasprimento sanzionatorio per la pericolosità delle suddette sostanze.
È questo, dunque, a parere della Corte di Cassazione l’illecito concretamente contestato alla società.
Invero, trattasi di delitto non compreso nei reati-presupposto richiamati dal citato art. 25 undecies D.Lgs. 231/2001; da qui la questione, positivamente risolta dai giudici di legittimità, se il principio di legalità valga anche con riferimento alle norme contenute nel D.lgs. 231/01.
Afferendo queste, infatti, all’ordinamento penale devono – secondo l’opinione condivisibile della Cassazione – necessariamente essere sottoposte ad un doppio vaglio di legalità:
a) Da lato quello riguardante l’effettiva entrata in vigore, nel momento in cui il fatto sia stato commesso, della fattispecie-presupposto contestata; tanto in ossequio all’art. 25 co. 2 Cost. e 2 c.p.;
b) Dall’altra quello relativo alla tassativa previsione del reato-presupposto nell’elenco dei reati presupposto.
La Corte, infatti, evidenzia, come sia “costante affermazione della giurisprudenza di legittimità che la dichiarazione di responsabilità degli enti, impone un doppio livello di legalità […]”, rendendosi “necessario, cioè, che il fatto commesso dagli organi apicali dell’ente sia previsto da una legge entrata in vigore prima della commissione dello stesso e che tale reato sia previsto nel tassativo elenco dei reati presupposto. Dal complesso delle norme del D.Lgs. n. 231 del 2001, infatti, emerge che il sistema italiano, a differenza di altri ordinamenti giuridici, non prevede una estensione della responsabilità da reato alle persone giuridiche di carattere generale, coincidente cioè con l’intero ambito delle incriminazioni vigenti per le persone fisiche, ma limita detta responsabilità soltanto alle fattispecie penali tassativamente indicate nel decreto stesso”.
La stessa impostazione era stata già inaugurata nel 2008 (Sez. 3, n. 41329 del 07/10/2008, Galipò, Rv. 241528), dalla giurisprudenza della Suprema Corte in tema di reati ambientali prima che ad alcuni di essi venisse collegato l’illecito amministrativo dell’ente di cui alla novella del 2011, ed è divenuta interpretazione costante, confermata anche dalle Sezioni Unite (sent. n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv 258646), in tema di reati tributari non previsti nei tassativi elenchi del più volte citato Decreto 231 del 2001.
Ritornando, dunque, alla pronuncia n. 2234/2022 in commento, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dunque proceduto ad annullare senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti dell’ente poiché il fatto non costituisce l’illecito amministrativo contestato.
Ciò poiché, in applicazione dei principi innanzi esposti, il reato concretamente ascritto all’ente (art. 6, lett. a) e lett. d) n. 2 del D.L. 172/2008), afferente alla disciplina emergenziale, non è in grado di legittimare la relativa affermazione di responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 non rientrando fra gli illeciti-presupposto della responsabilità amministrativa degli enti.
Avv. Adamo Brunetti