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Responsabilità 231 e verifica dei DPI

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231 / Aziende / reati / sicurezza

Responsabilità 231 e verifica dei DPI

Cass. Pen., Sez. III (data ud. 10/09/2024), n. 42968

In tema di responsabilità “231” per infortuni sul lavoro derivanti da caduta dall’alto, il giudice deve verificare quali siano in concreto i presidi messi a disposizione per le attività in quota.

La Suprema Corte ha annullato la condanna a carico di un ente per avere scelto dispositivi di protezione anticaduta individuali e non collettivi. 

In particolare, la Cassazione ha ricordato come, sebbene la normativa indichi la preferenza per i Dp collettivi e in luogo di quelli individuali, da considerare una scelta subordinata, è necessario valutare quali siano gli specifici presidi individuali prescelti con l’obiettivo di far operare in modo più rapido e meno costoso i dipendenti. Di seguito un’analisi della pronuncia.

1. Il caso

Con sentenza del 25/06/2019, la Corte d’Appello di Bologna confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Rimini, in data 21/04/2016, con la quale il datore di lavoro, un dirigente della medesima società ed il direttore tecnico di cantiere erano stati condannati in relazione al delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme in tema di sicurezza del lavoro. In particolare, si contestava di avere il omesso di predisporre il previsto sistema di protezione individuale idoneo a consentire l’ancoraggio durante il lavoro in quota (art. Ili, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 81 del 2008), nonché per avere omesso di verificare la presenza dei dispositivi “linea vita”, e non averne sollecitato l’adozione alla società subappaltatrice (art. 97, comma 1, del medesimo d.lgs.). Inoltre, con la medesima pronuncia, la Corte territoriale rideterminava in Euro 40.000 la sanzione pecuniaria irrogata dal primo giudice alla ritenuta responsabile ai sensi degli artt. 5, 6, 25-septies, comma 2, d.lgs n. 231 del 2001.

Tale pronuncia veniva poi annullata, dietro ricorso, dalla Cassazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello bolognese in ordine sia alla individuazione della misura di protezione scelta nel caso concreto dal datore di lavoro, onde verificare il rispetto dei criteri indicati dalla norma contestata; sia alla corretta individuazione e fornitura – in relazione al sistema di protezione prescelto – degli strumenti idonei a minimizzare i rischi di caduta del lavoratore; sia anche in ordine alla verifica del nesso causale tra le condotte antidoverose eventualmente accertate e il decesso del lavoratore. In sede di rinvio, per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale ha confermato la sussistenza della responsabilità amministrativa della riducendo peraltro la sanzione pecuniaria ad Euro 30.000.

2. Il ragionamento della Corte di Cassazione

La Cassazione, in tale motivazione, ha richiamato integralmente i principi espressi nel primo pronunciamento della Suprema Corte in tale vicenda, a cura della Quarta Sezione.

In particolare, secondo la sentenza rescindente aveva per un verso osservato che “compito del giudice di merito era, dunque, in primo luogo, stabilire quale fosse la misura di protezione scelta nel caso concreto dal datore di lavoro, onde verificare se in tale scelta il datore si fosse attenuto ai criteri indicati dalla norma la cui violazione gli era contestata. Le sentenze dei due gradi di merito hanno, invece, sviluppato in via prioritaria la questione inerente alla carenza di dispositivi di sicurezza individuale come se la norma contestata (art. Ili, comma 1 lett. a) fornisse un criterio di scelta del tutto opposto a quello desumibile dal tenore letterale della disposizione”.

La Quarta Sezione aveva poi evidenziato una ulteriore criticità, osservando che “in secondo luogo, era compito del giudice di merito verificare se, in relazione al tipo di sistema di protezione prescelto e alla attrezzature adottate, il datore avesse correttamente individuato e fornito gli strumenti idonei a minimizzare i rischi per i lavoratori contro le cadute“; tuttavia, si era criticamente osservato, “la Corte territoriale, in linea con l’impostazione seguita nella sentenza di primo grado, non si è attenuta allo schema logico-motivazionale indicato e la pronuncia risulta viziata per aver incentrato il giudizio circa la violazione da parte del datore di lavoro della regola cautelare idonea a prevenire il rischio poi concretizzatosi sulla assenza di dispositivi di protezione individuale, quali sono le linee vita, senza avere, in primo luogo, esaminato se la predisposizione delle piattaforme elevatoci, strumento di protezione collettiva, fosse la scelta privilegiata nel caso concreto per consentire al lavoratore di operare in condizioni di massima sicurezza“.

In buona sostanza, e conclusivamente, la Quarta Sezione aveva riscontrato una carenzanell’esame della condotta omissiva del datore di lavoro; i giudici di merito avrebbero dovuto analizzare la violazione della regola cautelare ascrivibile datore di lavoro secondo il diverso schema sopra indicato e solo all’esito di tale, completo, esame procedere a valutare l’incidenza causale della violazione accertata sull’evento concretizzatosi“.

Dal punto di vista della responsabilità ex D.lgs. 231/01 dell’ente, inoltre, la S.C. ha precisato come la Corte territoriale ha anzitutto osservato che i giudici di merito si erano “principalmente” confrontati con il capo di imputazione relativo agli imputati-persone fisiche, imperniato sulla mancata predisposizione dei sistemi di protezione individuale. In particolare, secondo la medesima, il profilo di responsabilità dell’ente ai sensi del sistema di cui al d.lgs. 231/2001 si fonda “su una generale omissione delle misure di prevenzione al fine di ‘eseguire I lavori in modo più rapido e meno costoso”. La suddetta sentenza ha altresì accertato la sussistenza del nesso causale tra l’azione doverosa che è stata omessa, ossia la mancata predisposizione di idonei dispositivi di sicurezza e il mancato controllo sul loro corretto utilizzo. Invero, la Corte territoriale ha ritenuto fondata la responsabilità dell’ente anche con riferimento al criterio soggettivo di ascrizione della responsabilità dell’ente ex art. 6, valorizzando il fatto che il soggetto imputato, persona fisica autrice del reato presupposto, rivestiva un ruolo di soggetto apicale all’interno della società.

Considerazioni conclusive

In definitiva, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in esame, in relazione a tale motivo, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali e confermando la sentenza per tale parte. La sentenza deve, quindi, essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna per nuovo esame, che sarà effettuato sulla scorta dei principi affermati dalla sentenza pronunciata dalla Quarta Sezione della Suprema Corte.

Avv. Adamo Brunetti

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